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I ragazzi delle fogne di Bucarest
Bucarest, Romania. Davanti alla stazione di Gara de Nord, la più grande stazione romena da cui partono i treni destinati alle grandi città europee, una comunità di giovani lotta quotidianamente per la sopravvivenza, affrontando povertà estrema, condizioni igieniche disastrose e dipendenza da sostanze stupefacenti.
Sono migliaia i ragazzi che abitano un mondo sotto il mondo; quelli che, alla reclusione coatta negli orfanotrofi rimasti immutati dalla caduta dell’ultimo leader del regime comunista Nicolae Ceaușescu, hanno preferito la vita di strada. Gli inverni romeni sono rigidi, imbiancati dalla neve, e le temperature scendono vertiginosamente sotto lo zero. L’unico riparo è scendere nella rete fognaria, formata principalmente da vecchi tunnel utilizzati per riscaldare il centro città.
Le condizioni di vita nei tunnel fognari sono drammatiche. L’aria è spesso irrespirabile, i servizi igienici sono inesistenti e le malattie si diffondono rapidamente. Sono molti, infatti, i ragazzi malati di AIDS o epatite, abbandonati al loro destino.
Per sopportare queste condizioni di vita e per placare la fame, le droghe sembrano essere l’unica soluzione. La più usata è in realtà venduta in ogni comune merceria per pochi Lei: l’Aurolac. È una colla a base di solventi che, insieme alla vernice metallizzata, viene divisa in buste di plastica da cui viene aspirata. Alla sensazione di sazietà si accompagna la distruzione dell’apparato respiratorio e digerente – letteralmente bruciati – oltre al danneggiamento del sistema nervoso. Ci sono poi tutte le altre droghe a basso costo, tagliate male e iniettate endovena.
A gestire il traffico degli stupefacenti è “Bruce Lee”. Il suo nome deriva dal passato da combattente di strada, i cui segni porta sul corpo. Il suo controllo del mondo sotto la superficie è totale: è lui a occuparsi della gestione della vita all’interno dei tunnel, a distribuire le droghe e a difendere i ragazzi dagli altri abitanti della strada. Bruce Lee è il mentore di quei figli di nessuno.
Alla data di questo reportage, l’amministrazione locale non ha ancora operato alcun intervento per questa popolazione nascosta. Non sono in atto né programmi di aiuto né programmi di recupero da parte dello stato. Il semplice intervento delle associazioni locali di volontariato non è sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti in maniera ragionevole. Per questo molti ragazzi e ragazze di ogni età diventano preda del turismo sessuale sempre più frequentemente.
«A dieci anni sei giovane, a vent’anni sei vecchio, a trent’anni sei morto!» è la voce che corre attraverso i canali. Un modo di vivere causato dal rifiuto della società di superficie di collaborare, dove la nostra concezione di vecchiaia non entra mai in gioco. Nelle fogne di Bucarest, dove le vite nascoste non possono sopportare l’inferno per più di trent’anni.
Il Lebbrosario di Ougadougou
Sono passati quasi quarant’anni da quando Fratel Vincenzo Luise è partito in missione per Ougadougou, la capitale del Burkina Faso. È un fratello laico napoletano dei Camilliani, da tutti è noto come il Camorrista di Dio per i modi da figlio ribelle di rivolgersi alla santità nelle sue preghiere. Era da solo, ma con il tempo intorno a lui si è creata una comunità di giovani volontari e studenti universitari in continua crescita. L’impegno è costante e il lavoro mira a liberare il Burkina Faso da una lotta lontana dall’immaginario comune, quella contro la lebbra.
Paspanga è sempre stato uno dei quartieri più degradati di Ougadougou, una quarantina di case abitate da circa trecento lebbrosi esclusi dalla società perché non idonei, per la loro condizione di malati. Se in quel luogo di mancate speranze molto è cambiato è anche grazie a Fra Vincenzo e a chi collabora nella sua impresa.
Nel quartiere di Paspanga il centro Tripanau costituisce il punto di riferimento per centinaia di lebbrosi che regolarmente vengono a farsi medicare da Fra Vincenzo che, oltre a preoccuparsi del problema medico, provvede anche a fornire cibo ai malati. La struttura segue gratuitamente i malati, si fa carico dei loro ricoveri e approfondimenti diagnostici e sostiene le famiglie particolarmente in difficoltà. Il lebbrosario è formato da due grandi stanze, fornite, a partire dalle garze, di tutto il materiale necessario per la cura dei malati. Due volte a settimana i volontari si occupano delle cure infermieristiche di oltre trecento malati, la presenza di Fra Vincenzo è fondamentale per ciascuno di loro. Lavora senza utilizzare i guanti, come lui stesso spesso racconta, lo fa perché un giorno uno dei malati chiese per quale motivo li utilizzasse, se per timore o ribrezzo. Da quel momento Fra Vincenzo ha deciso di rifiutare l’uso dei guanti per non turbare il legame faticosamente instaurato con ogni singolo malato. Per questa sua infinita disponibilità, da chi frequenta il lebbrosario Fra Vincenzo viene chiamato affettuosamente «papà».
Solo con la caparbietà di un fratello bandito può essere intrapresa una lotta come quella racchiusa nelle foto. L’impresa che quotidianamente viene svolta a Paspanga è evidente se si analizza il retroterra culturale della società a cui appartiene. La terra degli uomini integri non può essere un luogo in cui la malattia viene accettata, è invece intesa come una debolezza da stigmatizzare. Il ghetto della capitale del Burkina Faso ne è la prova più grande. Fra Vincenzo e tutti coloro che lo circondano operano non solo a livello medico o economico, ma culturale. Il loro obiettivo è quello di modificare la concezione della malattia – sia essa la lebbra come l’Aids – da parte della società. Insegnare un maggior rispetto per la Vita, anche nei suoi momenti meno integri.
Testo di Serena Mauriello
Foto di Jacopo Naddeo